Differenze tra parlare a un neonato e parlare a un bambino
Prenderci la responsabilità di quello che diciamo ai nostri figli è un compito obbligatorio se vogliamo che un giorno sperimentino una certa libertà quando dovranno definire se stessi o prendere decisioni importanti nella loro vita.
Di certo, tutti abbiamo come riferimento ciò che i nostri genitori ci dicevano: molte delle loro parole ci hanno aiutato nella vita, altre volte magari ci hanno ostacolato. Quindi, tutti dovremmo essere in grado di valutare il peso delle parole nella nostra vita.
Parlare al posto dei figli
Quando abbiamo in braccio nostro figlio appena nato, così piccolo e immobile, fin dal primo giorno iniziamo a parlargli e parlare per lui. È una cosa che tutte le mamme fanno.
“Ha freddo”, “vuole mangiare, ha fame”, “voglio stare con la mamma” (dicono al posto loro). Alla fine, supponiamo che nostro figlio provi determinate sensazioni o abbia certi desideri e, in questo modo, lo conosciamo e abbiamo la sicurezza di avere tutte le risorse per prenderci cura di lui. Letteralmente, “gli mettiamo le parole in bocca”.
È un concetto che nell’ambito della psicoanalisi si chiama “transitivismo”. Si tratta di un processo per cui il neonato viene considerato come un piccolo soggetto desideroso di qualcosa che la madre conosce senza bisogno che lui le parli.
Facciamo un esempio. Quando diciamo che nostro figlio piange perché ha freddo e lo copriamo, lo culliamo, gli cantiamo una canzone, gli parliamo e riusciamo a calmarlo, il motivo del suo pianto è davvero il freddo. Quello che stiamo cercando di dire è che ciò che succede ai nostri figli all’inizio della loro vita siamo noi ad attribuirlo loro.
Non c’è una verità da indovinare riguardo ciò che gli sta succedendo in un determinato momento e, se non lo sappiamo, non esiste un libro dove trovare la risposta che ci dica quello che dobbiamo sapere.
Come afferma l’autore Carlos González, non è mai stato necessario leggere libri sui bambini per sapere cosa fare con i figli e aggiunge: “se ci sono dubbi, è meglio consultare altre mamme e chiedere della loro esperienza più che leggere libri”.
Quando mettiamo in pratica un consiglio che è scritto su un libro per prenderci cura di nostro figlio, lo stiamo escludendo come soggetto desideroso di qualcosa. Applicare una tecnica o un consiglio è qualcosa che esula dal nostro contesto, dalla nostra vita, dal nostro ruolo di madre o padre.
Per questo, dovremmo trovare il modo di prenderci cura dei nostri figli all’interno del nostro contesto personale, delle nostre esperienze, della nostra storia, di ciò che abbiamo vissuto.
Le tecniche o le “ricette” dei libri per prendersi cura dei figli possono avere serie conseguenze per loro, ma rimandiamo l’argomento ad un’altra occasione.
A mano a mano che il bambino cresce, acquisisce sempre più autonomia e ci mostra il suo modo di fare le cose. Alcune cose guadagneranno la nostra ammirazione, altre, il nostri rifiuto.
Le cose che rifiutiamo solitamente sono esattamente quelle che i nostri figli non amano di noi o semplicemente comportamenti tipici dell’infanzia. Di sicuro, se prestiamo attenzione, sapremo fino a dove assumerci la responsabilità del loro modo di comportarsi.
Quando si comportano in un modo che ci fa imbestialire, è quando commettiamo l’errore di elencare i loro atteggiamenti: “sei cattivo”, “sei molto impaziente”, “che ribelle che sei!”. Il problema qui è che utilizziamo troppo il verbo essere in un’età in cui niente è definito.
Nostro figlio non è impaziente, è che i bambini in generale fanno fatica ad aspettare. Quindi è bene dirgli: “figlio mio, tu che sei un bambino così paziente, aspetta un attimo che la mamma arriva”. È un modo molto sottile per evitare le etichette, in particolare quelle che sono negative per i bambini.
Educare è come una partita a scacchi e solitamente si dice che il limite dell’educazione è la disposizione dei genitori, sia fisica sia emotiva. Può succedere che un giorno siamo stanchi e diciamo una stupidaggine ai nostri figli di cui poi ci pentiamo immediatamente.
Non si tratta di sbagliare come genitori, ma di avere una buona predisposizione (oltre all’amore e all’affetto, chiaramente) con la logica infantile. Dobbiamo metterci sullo stesso livello dei nostri figli, altrimenti rischiamo di commettere troppe ingiustizie.